I grandi scrittori sono stati spesso anche grandi dissuasori. Si rendevano conto di quanto lo scrivere costasse fatica e umiliazione. E cercavano di risparmiare l’una e l’altra ai loro contemporanei meno dotati. Naturalmente non ci riuscivano. 

Eppure, ancora oggi, basterebbe guardare alla realtà. Oltre duecento milioni di copie di libri vengono stampati, più o meno, ogni anno in Italia. Avete letto bene: è una cifra enorme. Tanto più che solo una piccola percentuale di essi finisce in mano a un pubblico di lettori. Nel nostro Paese più di metà della popolazione non ne legge neppure uno all’anno. Della restante metà, solo una piccola percentuale, diciamo il 15 per cento, è costituita da lettori forti, lettori che leggono almeno un libro al mese. Si capisce benissimo perciò qual è la sorte della stragrande maggioranza di quei volumi: finire al macero. Un paradosso difficile da spiegare, così come lo sono molti altri che riguardano il mondo dell’editoria libraria. 

Normale quindi che un giovanotto poco più che trentenne, Federico di Vita, volendo scrivere un saggio documentatissimo sull’argomento, abbia pensato d’intitolarlo Pazzi scatenati. Usi e abusi dell’editoria (Roma, Tic Edizioni, 2012). In queste pagine, chiunque abbia abbastanza follia nella testa da voler aprire una libreria, una casa editrice, o da voler intraprendere una professione editoriale, troverà di che scoraggiarsi. E ce n’è anche per gli Aspiranti, se proprio vogliono sapere in quali labirinti, budelli, vicoli ciechi, rischierà di finire il frutto delle loro fatiche. Quando l’autore spiega che aprire un’ennesima casa editrice (in Italia ce ne sono oltre 7.000, di cui circa 5.000 inattive) equivale a mettersi a fabbricare trappole per dodo (il simpatico uccello non volatore di Mauritius, estinto alla fine del Seicento) non si può dire che non parli chiaro. L’affermazione è motivata da una caterva di dati e testimonianze da far impallidire. Ma che gli è preso a tutti? Le case editrici italiane che fanno il mercato sono un pugno: Mondadori-Rizzoli, Gruppo Mauri-Spagnol e, distaccate, Feltrinelli, Giunti, Rcs Libri (Solferino e Cairo). Poi ce ne sono una ventina di medie e medio-piccole abbastanza conosciute (e a loro modo ricche, come la siciliana Sellerio o la pugliese Laterza) e una spruzzata di piccole, ma combattive, come minimum fax. Tutto il resto è polvere, e solo un addetto ai lavori potrà distinguere i marchi che offrono almeno una garanzia di serietà dalle micidiali case editrici a pagamento, brave solo a raggirare gli autori gonzi, sempre incredibilmente numerosi. 

Quella che di Vita chiama con espressione vivida ma efficace “catena della morte” è salda più che mai. Il sistema economico del libro si basa su una sequenza di “pagherò”. Il libro stampato finisce (quando va bene) nelle mani di un distributore, che lo porta in libreria sulle basi delle prenotazioni ottenute dai promotori, magari sei mesi prima. L’editore fattura, ma deve fare i conti con il diritto di resa dei librai. I volumi invenduti devono essere rimborsati, o rimpiazzati con altri volumi-novità. Gli editori, per non fallire subito, si trovano costretti a immettere sul mercato continue novità, o presunte tali, andando a rimpolpare lo spettro dei già numerosissimi titoli presenti sui banchi o sugli scaffali. Risultato: una rotazione vorticosa, con un tempo di permanenza in libreria che può non superare i quindici giorni. Se un libro non vende entro un paio di settimane inizia a essere restituito. 

In realtà, nemmeno le librerie più grandi e strategicamente meglio posizionate riescono a ospitare più che una piccola parte di questa offerta spropositata. E il resto? Beh, ci sono migliaia di camion carichi di scatoloni che percorrono l’Italia in lungo e in largo, da un magazzino all’altro. E molti di quegli scatoloni, anche ammesso che riescano ad arrivare in qualche libreria, non vengono mai aperti. C’è una figura che un tempo era essenziale nella filiera del libro: il promotore. Era una persona che faceva fisicamente il giro delle librerie, un po’ come gli informatori farmaceutici fanno il giro degli studi medici, e proponeva sia le novità sia le significative ristampe di catalogo. Aveva un rapporto diretto con i librai e ne poteva influenzare le scelte. Si presentava con le schede promozionali dei libri, che oggi vengono spedite direttamente via email. I promotori sono sempre meno, e tra poco non esisteranno più, sostituiti dai buyer, dai compratori delle grandi librerie di catena. Il grosso del mercato è fatto da sempre meno titoli, alla faccia della bibliodiversità, che è una bella parola e un bellissimo concetto, che sa molto di libertà di scelta, ma che continua a esistere solo su internet. Le librerie indipendenti, quelle dove un rapporto con un libraio competente era ancora possibile, continuano a ridursi o a trasformarsi, con la formula del franchising, in ulteriori propaggini delle grandi catene. L’unico settore a non perderci mai è la distribuzione. E i grandi distributori possono allo stesso tempo spingere un autore e affossarne un altro, a loro piacimento. 

Poi c’è un’altra follia. Quella di chi pensa di poter lavorare, retribuito, nel settore editoriale. Una follia che coinvolge migliaia di giovani, in genere laureati in discipline letterarie o in Scienze della comunicazione. Nella realtà si fanno stage non pagati, anche per anni, e senza alcuno sbocco professionale. Un mercato del lavoro selvaggio, mal regolamentato, soggetto a una legislazione opaca. Un cimitero delle illusioni.

Ed è proprio per questo infatti, cioè a partire da questa realistica consapevolezza, che chiunque voglia scrivere e pubblicare la propria opera, deve conoscere le regole del gioco. Una scuola di scrittura che si rispetti non può esimersi dal fornire ai propri partecipanti anche questo genere di informazioni. Altrimenti possono sorgere dubbi che quella scuola di scrittura non sappia o non voglia dire tutto.