Molti di quelli che scrivono, scrivono di se stessi. Perlomeno, questo risulta dalle migliaia di manoscritti che pervengono mensilmente alle case editrici italiane, ma anche dalle intenzioni di chi si rivolge alle scuole di scrittura come la nostra.
Non c’è niente di male a voler raccontare la propria storia. Tuttavia, si tratta sempre e necessariamente del proprio punto di vista, e anche quando si crede di scrivere un resoconto oggettivo, è sempre l’io di chi scrive la storia a parlare.
A proposito de La coscienza di Zeno, Italo Svevo diceva: “È un’autobiografia, ma non è la mia”. Quando si scrive della vita di un altro, si parla di sé, e quando si scrive della propria, si parla in fondo di qualcun altro. Si costruisce, cioè, un personaggio letterario.
Questo è un concetto che ribadiamo spesso, nel corso delle nostre lezioni. La capacità di distaccarsi da sé per costruire un personaggio credibile all’esterno, cioè accettato dal lettore indipendentemente da chi sia l’autore. Altrimenti si costruisce un memoir, il che va benissimo lo stesso, ma non siamo più nell’ambito del romanzo.
Certo, alcuni potrebbero obiettare che non è in fondo così facile collocare Se questo è un uomo di Primo Levi, o Memorie di una casa di morti di Dostoevskij. Romanzi o resoconti di vita vissuta? È vero, non è facile. Una certa quantità d’invenzione è di solito presente anche nei memoriali, dato che i ricordi sono filtrati in modo selettivo. Ma il primo a saperlo dev’essere appunto l’autore.
L’importante è avere le idee chiare fin dall’inizio: di che cosa vuol trattare il vostro romanzo? E soprattutto, vuole davvero essere un romanzo? Se è così, bisogna lavorare perché lo sia, e dunque non avere paura di liberare il proprio lato più creativo e fantasioso.