L’ordine razionale è la base dell’Illuminismo. Una volta smantellata la certezza in un aldilà assoluto, all’uomo non resta che dare un assetto regolare all’aldiquà. Il cosmo tende per sua natura all’entropia, cioè a un suo equilibrio, che si sposta all’infinito e che per la nostra mente rimane inconcepibile).
Ora, che cosa è un libro, che cosa sono sempre stati i libri fin da quando avevano struttura di rotolo, se non l’organizzazione di dati e informazioni intorno a un’idea centrale, il tutto composto con le parole, e prima ancora con le lettere? Espressione di un sistema, convenzionale finché vogliamo, ma necessario. Quindi per mettere ordine nella propria vita la prima cosa da sistemare non sono gli armadi, ma gli scaffali. Una libreria dovrebbe essere la metafora dell’ordine assoluto. E qui viene il bello.
Prendiamo un bibliotecario meticoloso come Massimo Gatta, universitario e studioso di editoria novecentesca, e il suo aureo volume L’insolenza e l’audacia – Sul disordine dei nostri libri (Graphe edizioni, pp. 112, euro 8.50, prefazione di Luigi Mascheroni) e rendiamoci conto che non se ne esce: ordinare una biblioteca, perlomeno privata, è impossibile.
Gregory Bateson in Verso un’ecologia della mente, in un breve capitolo (scritto come un dialogo fra lui e la figlia) intitolato “Perché le cose finiscono in disordine?”, dice che “dato che ci sono infiniti mondi disordinati le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione”. Il che vale anche per le raccolte di libri. Come fa notare Gatto attraverso innumerevoli esempi, i criteri di sistemazione sono individuali. Il metodo di classificazione messo a punto da Melvil Dewey a fine Ottocento, e ora in uso nelle biblioteche pubbliche di tutto il pianeta, è troppo burocratico e cimiteriale per una collezione domestica. Ognuno ha la sua testa: chi vuole l’ordine alfabetico per autori, chi ama accostare le nuances delle copertine, chi separa e raggruppa i volumi per argomento, chi per editori e per collane, chi li vuol sempre a portata di mano e chi infine lascia che si sperdano in anfratti inarrivabili, tumulati fino all’oblio.
Roberto Calasso, il fondatore dell’Adelphi (casa editrice scicchissima non solo nei contenuti, ma anche molto adatta a decorare gli sfondi nelle videoconferenze, a mettersi l’aureola dei sapienti), ha teorizzato la sistemazione bibliofila in un certo suo trattatello pubblicato con se stesso, Come ordinare una biblioteca, definendo il tema come “altamente metafisico”. Nel caso suo, è anche fisico, anzi immobiliare, visto che lui i suoi libri dichiara di averli disposti in una serie di appartamenti ovviamente a loro volta ubicati in appropriati contesti storici. Se siete gente più da vetrinetta Mondo Convenienza, gente di poca metratura, dovrete selezionare e sacrificare, poi organizzare quel poco come potete. Del resto Oscar Wilde in carcere possedeva solo tre libri.
Jorge Luis Borges immaginava una raccolta che fosse una risistemazione utopica del cosmo. Di tale perfetta astrazione da non poter esistere mai. Nelle Brevi note sull’arte e il modo di sistemare i propri libri, Georges Perec assume il tono classificatorio pedante di un trattatista seicentesco. La verità semplice fino alla banalità è che non esiste un metodo generale. La follia del bibliofilo si articola in disturbi da accumulazione seriale e in ossessioni compulsive all’acquisto. Eventualmente al riacquisto, quando ricomprare è l’alternativa secca al trovare quanto si sia perduto nel caos. Per un senso, più che del possesso, dell’equilibrio ritrovato. Per paradosso, si tende all’assurdo: disordinare tutto per il solo piacere della riscoperta.
Forse non è un caso che si parli di “ordinare”, quando s’intende farsi arrivare l’oggetto-libro, tramite il libraio o direttamente a casa. E di “ordinare” nel senso di riporre quello stesso oggetto nei propri scaffali, dove può capitare che non sia mai letto, solo sfiorato di passaggio, con lo sguardo o i polpastrelli. Oppure dimenticato per sempre.